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June 1, 2019Piazza Cesi ad Acquasparta: un viaggio nel tempo tra scienza, mistero e amicizia, dove le pietre raccontano la storia dell'Accademia dei Lincei e il legame eterno con Galileo Galilei
Prima del Cinquecento la piazza non esisteva ma esisteva il fossato che difendeva l’antica rocca fortificata, quella che oggi è diventato il maestoso Palazzo Cesi. A testimonianza di ciò, i due pilastri in pietra posti ai lati del portone del palazzo, testimoniano la presenza di un ponte levatoio che permetteva l’accesso alla Rocca.
Nei primi decenni del Cinquecento furono i Farnese ad acquistare il feudo di Acquasparta, feudo che vendettero nel 1530 ad Isabella Liviani, figlia di Bartolomeo d’Alvino, moglie di Gian Giacomo Cesi, che lo permutò con i suoi possedimenti ad Alviano.
L’attuale piazza, oggi dedicata a Federico Cesi e alle sue gesta da Accademico, era anticamente chiamata “Piazza Nova” o “Piazza del duca”. Venne realizzata nella seconda metà del XVI secolo, obbligando ogni famiglia di Acquasparta a portare 10 some di terra o a pagare una tassa per il trasporto da parte di terzi, al fine di sanare il vecchio fossato.
Oggi, la piazza è un omaggio alla cosmologia galileiana e ai fondatori e appartenenti all’Accademia dei Lincei.
Un vero “Codice da Linci” è inciso sulle pietre di travertino di Piazza Cesi, ad Acquasparta: il codice è composto da dodici strani simboli che ricordano quelli delle costellazioni e vanno letti da destra verso sinistra, all’opposto del normale senso di scrittura. Per decifrarli occorre l’alfabeto linceo, stilato nel 1603 e attualmente conservato negli archivi dell’Accademia dei Lincei, a Roma.
Una volta decodificati, i simboli formano la frase latina: “Sagacius ista”, “più acuto di lei”: si riferiscono alla lince, felino dotato di una vista nitidissima e trasmettono il desiderio di conoscere e di comprendere che animò quattro giovani amici all’inizio del XVII secolo. Volevano avere sensi più acuti di quelli di una lince e con quei sensi, volevano scoprire i segreti del mondo.
Il 17 agosto 1603, Federico Cesi, figlio ventenne del Duca di Acquasparta e della nobildonna Olimpia Orsini di Todi, riunì i suoi amici Francesco Stelluti, giurista e letterato di Fabriano, Anastasio De Filiis, studioso ternano appassionato di astronomia e abile nella costruzione di congegni meccanici, e Johannes van Heeck, brillante medico olandese laureatosi all’Università di Perugia, nella sua dimora in via della Maschera d’Oro, a Roma, per suggellare un patto che renderà immortali le loro gesta.
Insieme fondarono l’Accademia dei Lincei, la più antica organizzazione scientifica del mondo, oggi massima istituzione intellettuale italiana e consulente scientifico e culturale del Presidente della Repubblica. I quattro si proclamarono “discepoli della natura al fine di ammirarne i portenti e ricercarne le cause” e adottarono come emblema una lince, con il motto che ora li celebra nella Piazza di Acquasparta.
L’essenza del loro sodalizio venne stilata in un ampio statuto programmatico, il Lynceographum, e nella cerimonia inaugurale, il 25 dicembre dello stesso anno, Federico – eletto Princeps perpetuo lynceorum – consegnò a ciascun “fratello” una collana d’oro con un pendente, che verrà poi sostituita da un anello con uno smeraldo rettangolare su cui è incisa una lince. È l’anello linceo, di cui oggi restano le impronte su ceralacca nei documenti accademici.
In un secolo in cui superstizioni e pregiudizi minacciavano di soffocare l’alba della ricerca sperimentale, base della scienza moderna, le riunioni dei quattro amici vennero osteggiate dal Duca di Acquasparta, che finì col denunciare van Heeck al Santo Uffizio per sospetta eresia. I giovani, costretti a disperdersi, decisero di sfruttare il simbolismo e le allegorie proprie dell’alchimia in nome della scienza. E così inventarono il codice, formato da segni analoghi a quelli ricorrenti nel simbolismo esoterico, e lo utilizzarono per scriversi lettere e stilare documenti.
Federico si trasferì ad Acquasparta, nel palazzo di famiglia, da dove intrattenne una fitta corrispondenza con i suoi affiliati utilizzando nomi in codice concordati in precedenza, che in qualche modo riflettono le inclinazioni di ognuno di loro: il principe era il Coelivagus, per la sua passione verso il cielo e le stelle, Stelluti è il Tardigradus, per la sua natura riflessiva, De Filiis l’Eclipsatus, per la sua attitudine allo studio dei fenomeni planetari, e van Heeck l’Illuminatus, il più estroso e brillante dei quattro.
Passarono alcuni anni e i quattro studiosi poterono finalmente riunirsi ad Acquasparta per animare l’Accademia di nuovi progetti e nuovi soci, come Giovanbattista Della Porta, il mago scienziato di Napoli.
Ma il vero colpo grosso, avvenne il 25 aprile del 1611 quando l’Accademia accolse tra i suoi soci lo scienziato pisano: Galileo Galilei che, da quel momento in pi, firmerà tutti i suoi lavori con l’appellativo “Linceo”. È l’inizio di una profonda e sincera amicizia fra lo scienziato e il giovane Federico e la svolta nel percorso intellettuale dell’Accademia, che abbandonerà l’aspetto magico-esoterico che l’aveva accompagnata nei primi anni della sua esistenza per immergersi nel rivoluzionario punto di vista del grande scienziato pisano, stimolandolo nelle sue ricerche.
Federico ospitò Galileo ad Acquasparta nell’aprile del 1624. Lo accompagnò alle Cascate delle Marmore e in barca sul lago di Piediluco. Durante la gita che Galileo illustrò agli amici il principio del moto relativo dei corpi, lanciando in aria dalla barca le chiavi della camera di Francesco Stelluti, e rischiando di farle cadere in acqua, come narra lo stesso accademico fabrianese nel resoconto di quella indimenticabile giornata. Altri documenti dipingono Federico e Galileo intenti a osservare le stelle con la nuova invenzione di Galileo – il cannocchiale – attraverso le arcate della specola di Palazzo Cesi, e Francesco, Anastasio e Johannes che passano intere giornate nelle stanze-laboratorio del Palazzo ducale a sperimentare l’utilizzo dell’occhialino (prototipo dell’odierno microscopio, e così ribattezzato proprio dai Lincei), altro strumento galileiano donato all’accademia dal grande scienziato.
E’ per rendere omaggio alla splendida avventura di questi giovani amici, e per ricordare uno dei luoghi simbolo dell’amore dell’uomo per la conoscenza, che oggi nelle pietre ornamentali di Piazza Cesi, oltre al “Codice da linci”, sono intagliati degli strani nomi: Coelivagus, Tardigradus, Eclipsatus e Illuminatus, inscritti dentro quattro grandi cerchi di travertino, che sembrano orbitare – come altrettanti pianeti – intorno ad un quinto cerchio, il più grande. Quello dedicato a Galilei. Da quest’ultimo sgorga una fontana, simbolo del sapere di cui lo scienziato ci ha fatto dono.